Per secoli in Italia il frusciare della seta accompagnava il pigro incedere del grande fiume lungo tutta la pianura padana. Ma prima del frusciare si sentiva, nei primi mesi della primavera, l’incessante e frenetico masticare dei bachi da seta che giorno e notte, prima di chiudersi nel prezioso bozzolo, divoravano, infaticabili, le foglie dei gelsi.
I gelsi abbondavano in tutte le campagne perché era l’unico cibo di cui si nutrivano i bachi.
Morus alba, o comunemente chiamato gelso bianco, era così diffuso nelle campagne della pianura da vederne il paesaggio profondamente diverso da quello che oggi conosciamo.
Poi arrivano le grandi guerre e la bachicoltura riceve il primo contraccolpo, ma nonostante tutto nel Veneto, negli anni ’50, c’erano circa 4000 aziende agricole che allevavano bachi da seta, integrando, così, il magro reddito dei contadini e mezzadri.
Nel Veneto i bachi da seta erano soprannominati “cavalieri” forse perché nascevano il giorno di San Gregorio, il cavaliere che uccide il drago, o perché quando sono vicini alla filatura i bachi muovono la testa e tracollano come cavalieri. Intanto si affinano le tecniche per la produzione delle fibre sintetiche, la Cina investe in allevamenti intensivi nelle immense campagne utilizzando manodopera a costi bassissimi, e per finire negli anni 70 un principio attivo il Fenoxycarb, contenuto in un pesticida distribuito sui frutteti che per deriva andava a finire sulle foglie di gelso, innescò la sindrome da mancata filatura del baco della seta. Seguirono anni di battaglia per vietare l’uso del pesticida e, alla fine, permisero di bandire in Italia l’uso del pesticida, ma, ormai, era troppo tardi quasi tutti gli allevamenti di bachi da seta avevano chiuso i battenti.
Oggi abbiamo perso quasi memoria di come s’allevano i bachi da seta, ma grazie ad un grande lavoro compiuto a partire dal 1871 dal CRA, ente ricerche agricole di Padova, le tecniche e i bachi per produrre la seta sono a disposizione di tutti. Recentemente alcuni hanno puntato la loro attenzione sul mercato della seta che, nonostante sia di nicchia, può dare buone soddisfazioni imprenditoriali.
I produttori cinesi a causa del grande boom economico si stanno spostando dalle campagne alle città e l inquinamento sta uccidendo i loro alberi di gelso, perciò la produzione di seta cinese inizia a diminuire sensibilmente e il costo del tessuto aumenta a causa della sempre maggiore richiesta dei mercati mondiali. Tutto ciò lascia spazio a chi in Italia vuole tornare in pista puntando sulla bachicoltura.
Martino Cerantola, presidente di Coldiretti Veneto ha presentato, recentemente, l’Associazione nazionale gelsibachicoltura rifondata per riproporre in chiave moderna la grande tradizione del nord est , che tramite il Programma di sviluppo rurale 2014-2020 contribuisce all’ammodernamento delle aziende sia per quanto riguarda le strutture che le attrezzature.
Finanziamenti europei incoraggiano il recupero di attività biocompatibili e tradizionali del territorio, oppure sostengono con un contributo di circa 133 euro per telaino, ovvero ogni 20.000 larve allevate, con una produzione minima di 20 kg di bozzolo fresco.
Intanto tra Padova, Treviso e Vicenza alcune giovani Startup fanno rete e nei 28 giorni di vita che il baco impiega a tramutarsi in falena l’attività è frenetica perché di questo piccolo insetto non si spreca niente: la crisalide viene usata nei mangimi animali e si fa anche olio industriale per la cosmesi.
Impegno per il Bene Comune è convinto che una nuova etica imprenditoriale e più attenta all’ambiente permetterà di reinterpretare ciò che eravamo in chiave moderna permettendo, in tal modo, di uscire da questa fase di stallo.
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